Per gli ebrei il nome indica la realtà di una cosa. Stare nella realtà, essere autentico, è chiamare le cose per nome. È la verità di una cosa: non convenzione, ma mezzo di riconoscimento. Si dice che ognuno di noi ha tre nomi. Il primo lo ricevi dalla famiglia, per quello che altri hanno fatto per te. Il secondo te lo costruisci tu, per quello che avrai fatto nella vita. Il terzo te lo dà Dio: è il nome che ricevi nel compimento della sua opera. Abramo significa padre di popoli, Mosè è salvato dalle acque, Gesù significa Dio salva. Il nome del profeta indica la sua missione. Conoscere il nome di qualcuno è entrare in relazione con lui. E Dio dice:
«Non pronuncerai invano il nome del Signore, tuo Dio» [Dt5,11].
Dall’ebraico, si tratta di non farsi carico del nome di Dio in modo vano. Assumerne il nome su di sè significa essere cristiano, essere segno vivo della presenza di Dio. È farsi carico del nome di Cristo. Significa entrare in relazione con Dio: stare con lui, invocarlo. Si può fare in modo vano, vuoto, come atto improprio.
Nella vita si possono fare le cose in modo autentico o inautentico, atti veri o atti vani, ipocriti, come i sorrisi di circostanza, senza cuore e impulso, senza desiderio, vuoti. Un atto autentico si vede, si sente, manifesta le intenzioni del cuore, lascia un sorriso nel volto, un senso di pace. Ti senti vivo, autentico. Un atto vano non ha contenuto, è solo forma, pura fiction. Ti lascia un gusto amaro, un non-senso.
La finzione è pensare una cosa, dirne una diversa e farne altre ancora. È falsità e produce accidia, vizio capitale del negare il bene di ciò che è autentico e vero edificando realtà false che deformano la coscienza delle cose. Quante cicatrici e ferite aperte di relazioni senza contenuto, senza consistenza!
La relazione con Dio, se è autentica, è radicale, totale. Se non sei disposto a metterti in discussione Dio lo rispetta, però non costruirai niente di duraturo, niente di eterno. Dio non ti obbliga, però neanche accetta le tue condizioni quando dici: «fino a qui». Non è un castigo, ma non può far altro che un passo indietro nella tua vita, abbandonarti a te stesso per una scelta tua che lui può e deve perchè vuole rispettare [cfr. Rm1,24].
Coerenza, dovere, sforzo: tutto è basato su di me. Non è questo il campo della relazione con Cristo. Non è questo il cammino, non sono parole sue. Quando si ama non si fatiga, ma si mette in gioco tutto. È tutta la vita che deve essere messa in discussione. Se imponi condizioni, è perchè non ti stai alimentando, non stai qui per una relazione personale ma per un senso del dovere, per un’illusione, non è la verità. L’amore è una felice insoddisfazione, mai ti basterà dare perchè il suo oggetto è infinito. È impulso, volere di più. È questa una relazione autentica con Dio. È scoprire e vivere il tuo vero nome, il nome che incarna la tua missione.
La quaresima è tempo di esame, tempo di penitenza e confessione. Apriamo il cuore a Dio e chiediamogli che lo liberi dalla finzione, dall’accidia, dall’ipocrisia. Chiediamo a Dio che ci lavi con il suo Sacratissimo Sangue per sanare le ferite interiori del nostro peccato, per risorgere con lui nella verità, essere autentici: cristiani.
Padre T.