“I farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi. Mandarono dunque a lui i propri discepoli con gli erodiani a dirgli: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno. Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?». Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: «Ipocriti, perché mi tentate? Mostratemi la moneta del tributo». Essi gli presentarono un denaro. Egli domandò loro: «Di chi è questa immagine e l’iscrizione?». Gli risposero: «Di Cesare». Allora disse loro: «Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio». A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono”. [Gv22,15-22].
L’atto di rispetto più nobile e davvero primario è quello di riconoscere il prossimo per quello che è: il riconoscimento dell’altro senza edulcoranti, aspettative, manipolazioni. La più comune mancanza di rispetto è invece quella che cerca di fare inciampare il prossimo su se stesso, sulla propria parola, sulla propria dignità. Così cercano di fare i farisei con Gesù. Così cercano di fare tante persone contro chi afferma una verità in cui crede, un valore o una virtù. Cercano di farti cadere.
Gesù non cade, non afferma se stesso ma la verità delle cose. Il rispetto si fonda su quanto è dovuto a Dio. Il rispetto di se stessi si fonda sulla dignità che ci è stata data da Dio. Per questo offendere la dignità altrui è prima di tutto una offesa fatta a Dio: è peccato. La mancanza di rispetto è sintomatica della perdita del senso del peccato. Non è un caso che Gesù metta a confronto quanto è dovuto a Dio con quanto è dovuto al mondo, come le tasse. Il rispetto è una questione di giustizia, non è una virtù ma un atteggiamento, un modo di stare in relazione. La virtù di fondo è quella della giustizia e il rispetto per se stessi, per gli altri e per Dio è un atto di giustizia, un modo per essere giusti davanti a se stessi, davanti agli altri e in ultima istanza davanti a Dio.
Il rispetto è un atto dovuto ma è soggetto al vizio dell’orgoglio, radice di un idolo che infetta l’organismo spirituale: l’affermazione di sé conduce ad assoggettare l’altro ferendolo nella sua dignità di persona. La mancanza di rispetto è la più immediata delle sue espressioni. Ogni mancanza di rispetto verso qualcosa o qualcuno, è un segnale di allarme sulle condizioni spirituali probabilmente precarie della nostra anima. Ogni atteggiamento di svalutazione del prossimo è una forma di abuso che parla di isolamento, solitudine dell’anima, chiusura in se stessi.
Il frutto del rispetto è la valorizzazione del prossimo, nella verità e non per falsa umiltà. Non si tratta di dire agli altri quanto sono bravi, belli e buoni perché io sono buono. Si tratta di fare lo sforzo di riconoscere nell’altro la sua verità, la sua bellezza, quello che Dio ha seminato di buono nella sua vita in forma di talenti, doni, personalità. Si tratta di riconoscere l’immagine di Dio nell’altro, fare dei nostri fratelli un soggetto da contemplare, degno di fede e di fiducia, riconoscere in loro un figlio di Dio, un alter Christus, con la sua dignità personale e per questo sempre degno di rispetto.
La valorizzazione del prossimo, il rispetto dell’altro è un tributo dovuto a Dio di cui saremo ripagati con interessi di gloria. Quanto invece viene da sé e dal mondo e a se stessi e al mondo ritorna, nel mondo sarà lasciato per essere ridotto in polvere.