P. Stefano Panizzolo, LC
Sacerdote, @stefanopanizzolo_lc
«Ho già 32 anni, sono appena stata scaricata dall’uomo a cui ho “regalato” sei mesi di me e mi sento drammaticamente al punto di partenza, disillusa, arrabbiata, fuori tempo». Anna guarda alla sua vita con profonda insoddisfazione. Per gli altri è una bella ragazza, intelligente e determinata, che in poco tempo ha raggiunto importanti obbiettivi accademici e lavorativi. Eppure, ai suoi occhi tutto questo “non è abbastanza”: non risponde e non corrisponde ai suoi sforzi, non dà forma ai suoi desideri; perché lei “non si sente abbastanza”: la donna che tutti desiderano, sì, ma che poi puntualmente nessuno sceglie.
Padre Dario, da circa dieci anni si trova sospeso tra un passato che non c’è più e un presente che non riesce ad accettare. «Se solo le cose fossero com’erano prima della riforma» pensa in cuor suo; lo vive come un desiderio legittimo, una pretesa per il vero bene dell’Istituto, lui che si sente insignito del compito di salvaguardarne l’identità. E soffre perché, ai suoi occhi, tanti aspetti si stanno perdendo: un certo stile nel vestire e nel porsi, la formalità con i superiori, l’uso esigente e diligente del tempo. La pretesa verso la Congregazione, i confratelli, sé stesso, porta a vivere in uno stato di costante insoddisfazione.
L’insoddisfazione è un sentimento diffuso: Anna, Padre Dario, tutti abbiamo detto almeno una volta nella vita: «Non è giusto». Vorrei provare ad illuminare questa realtà partendo dal Vangelo di Matteo al capitolo 20, conosciuto come la parabola degli operai «dell’ultima ora». In questo passaggio evangelico gli operai chiamanti a lavorare nella vigna sono stati tutti retribuiti allo stesso modo nonostante abbiano lavorato per tempi diversi. Leggiamo nei versetti finali:
«Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: Chiama gli operai e dà loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi. Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. Quando arrivarono i primi, pensavano che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero un denaro per ciascuno. Nel ritirarlo però, mormoravano contro il padrone dicendo: Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo. Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene; ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te. Non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?» (Mt 20, 8-15).
Il trattamento riservato agli operai della prima ora ci risulta istintivamente ingiusto: hanno ragione a lamentarsi, hanno lavorato di più…è una pretesa legittima la loro. Ma, se siamo onesti, il padrone è giusto e risponde il vero: «Io non ti faccio torto. Non hai forse convenuto con me per un denaro?». Perché ci risulta così difficile da accettare? Probabilmente perché siamo abituati a vivere nel confronto: «Avrei dovuto ricevere di più» e nasce in noi un senso di ingiustizia. Non siamo concentrati sul nostro cammino; ogni giorno viviamo parte della vita degli altri: li osserviamo, li valutiamo, sono parametri e modelli cui riferirsi. Ma io ho il mio cammino e il confrontarmi continuamente con quello degli altri mi porta fuori strada: entro in sentieri di tristezza e di rabbia.
Leggi l’articolo completo della rubrica “Esercizi per l’anima” sul nr. 16 di Essere catechisti.