“Imparate da me, che sono mite ed umile di cuore!” (Mt 11,29).
Un giorno Padre Pio passava attraverso i campi di grano e accompagnava per mano una bambina piccola. Per lei e per la sua mamma lui aveva pregato nel momento del parto, quando i medici avevano già asserito che sarebbero morti entrambi per le condizioni critiche in cui si trovavano. Ma, dopo la preghiera, andò tutto bene e si salvarono entrambi. Mentre passavano accanto alle spighe, disse P. Pio alla bambina: “Tu sai quali sono le spighe che hanno più frutto?”. E le spiegò: “A prima vista sembrerebbero quelle che sono più alte, che si ergono sulle altre e sembrano più belle. Invece sono quelle curve, perché il peso dei chicchi di grano le fa piegare…”. E poi aggiunse: “Così sono le persone; sono quelle più umili e nascoste che portano maggiore frutto!”.
Quando le moltitudini che seguivano Gesù, desiderose di ascoltare i suoi insegnamenti, udirono le parole del discorso della montagna: “Beati i poveri in spirito… beati i miti… beati quelli che piangono…”, rimasero estasiate e ammirate. Era il cammino autentico che Lui veniva a segnalare per tutti gli uomini di buona volontà, per ritrovare la strada della vita, dopo il peccato originale che aveva portato l’uomo a prevaricare e a peccare di disobbedienza, di ingratitudine, di superbia. Gesù veniva ad indicare invece la via dell’obbedienza alla volontà di Dio, la via della gratitudine profonda per i doni ricevuti e la via dell’umiltà. Il presupposto necessario per entrare nel cammino dell’amore è l’atteggiamento dell’umiltà. Si può dire che la virtù dell’umiltà è il primo passo per aprirci al Signore.
Ma che cos’è allora l’umiltà cristiana?
Come potremmo definirla e come metterla in pratica? La parola stessa, nella sua radice latina humus, cioè terra, ci fa pensare a ciò che è basso, che è sottomesso, che è al di sotto. E dietro questa parola si cela una grande virtù che risulta fondamentale nel cammino della vita spirituale; non c’è vera santità, senza la pratica dell’umiltà. Essa è in relazione alla virtù cardinale della temperanza e ci inclina a reprimere la tendenza disordinata verso la ricerca narcisistica della propria eccellenza, dandoci la giusta conoscenza della nostra condizione di creature, della nostra piccolezza, dei nostri limiti e, allo stesso tempo, dei talenti ricevuti, vedendoli in rapporto a Dio. L’umiltà si fonda su due basi: la verità e la giustizia. Attraverso la verità ci conosciamo così come siamo; a Santa Teresa d’Avila piaceva ripetere: “L’umiltà è camminare nella verità”. E la giustizia ci inclina ad agire secondo questa conoscenza. Non è umile chi disprezza se stesso o si stima incapace di tutto, ma è umile chi vede la verità della propria persona, sa riconoscere i propri limiti ed anche i propri talenti, doni di Dio, e si sforza sinceramente di impiegare questi talenti nel miglior modo. È umile, inoltre, chi, partendo dalla propria realtà, sa abbassarsi. Dio benedice l’anima umile.
L’umiltà di Gesù
Gesù stesso concludeva una delle sue parabole, quella degli invitati al banchetto, con una frase che ci aiuta a comprendere meglio quanto Lui voleva insegnarci circa questa virtù: “Chi tra voi è più grande, sarà vostro servo; chi invece si esalterà, sarà umiliato e chi si umilierà sarà esaltato”. Se l’umiltà fosse parlare o sentire bassamente di sé, ammettere di aver sbagliato, di avere qualche colpa. Se così fosse, allora di Gesù non potremmo dire che sia stato umile. Ma la coscienza che Lui ha di se stesso è come un limpido cristallo e giunge a dire: “Chi di voi mi accuserà di peccato?”. Ed aggiunse pure quelle parole che sono rimaste impresse nel cuore di tutti coloro che cercano di seguirlo: “Imparate da me che sono mite ed umile di cuore!”. Ecco allora in cosa consiste la sua umiltà, la vera umiltà: semplicemente nel fatto che Lui si è abbassato, è sceso. Non con i pensieri o solo con le parole, ma con i fatti, con tutta la sua vita. Trovandosi nella condizione della gloria, della sua divinità, è disceso, si è umiliato. E non gli è bastato di sottomettersi all’umana debolezza; ha voluto prendere l’ultimo posto. Si è fatto un piccolo bambino indifeso, si è voluto sottomettere a tutte le nostre piccolezze ed è arrivato fino al grado massimo, quello di dare la propria vita per la nostra salvezza. Ben ha scritto di Lui San Bernardo: “Noi impariamo l’umiltà del cuore da Colui che «Spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo» (Fil 2,7), da Colui che quando fu richiesto per essere fatto re, fuggì; invece quando fu ricercato per essere coperto di oltraggi e condannato all’ignominia e al supplizio della croce, si offrì di propria spontanea volontà”. E proprio per il suo abbassamento il Padre lo ha esaltato al di sopra dei cieli. Ecco un esempio concreto, la realizzazione massima della parola: “Chi si umilia sarà esaltato“.
L’umiltà, quindi, che è semplicità, mitezza, purezza di cuore, è cammino di incontro con Dio. Su questa terra feconda Dio può seminare le virtù teologali della fede, speranza e carità, come fece con Maria, l’umile serva del Signore, diventa Madre di Dio e collaboratrice privilegiata della redenzione.
P.Paolo Cercquitella, L.C.