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Le emozioni incontrollabili

12 Giugno 2020 in Formazione 0

Quando qualcuno, in nostra presenza, piange, che sia un adulto o un bambino, il primo impulso che abbiamo è spesso quello di cercare di farlo smettere, di sollevarlo dal dolore che sta provando. Se invece una persona dà in escandescenza davanti a noi, siamo spinti a consigliargli di calmarsi. Lo stesso tendiamo a fare tal- volta se qualcuno alza il tono della voce per la felicità. Lo facciamo per fastidio verso il comportamento che l’altro sta assumendo, per vergogna verso eventuali spettatori della scena o anche per alleggerire l’impatto della forte emozione dell’altro su di noi. La nostra cultura di riferimento, ossia quello che si faceva nell’ambiente dove abbiamo imparato come esprimere (o non esprimere) un’emozione, ci informa dell’appropriatezza del nostro e altrui comportamento.

È facile conservare in memo- ria ricordi di quando genitori e insegnanti ci chiedevano, in modi più o meno delicati, di stare buoni, di non dare fasti- dio, di non gridare, di non fare rumore, di non essere invidiosi, di non arrabbiarci, di non aver paura, ecc.
È probabile che nel leggere l’ultima frase abbiate prova- to una sensazione interna di sorpresa e fastidio. Se fosse così è comprensibile, anzi auspicabile: l’elenco delle cose da non fare che avete appena letto, infatti, contiene azioni che si possono controllare, ossia comportamenti (non dare fastidio, non gridare, non fare rumore) ed emozioni che non è possibile controllare (invidia, rabbia, paura). I due concetti vengono infatti frequente- mente confusi. Cercheremo di evidenziare, invece, l’esistenza di due processi, completa- mente diversi, su cui abbiamo potere decisionale totalmente differente: le emozioni e la loro espressione. Questo mese ci concentriamo sul primo: pro- vare un’emozione.

L’esistenza di questo aspetto della nostra interiorità ci mette di fronte a una delle possibili condizioni umane: l’impotenza. Non abbiamo, infatti, alcun potere decisionale sulle emozioni che proviamo: non vi è alcuna possibilità di controllarle razionalmente. Le reti neurali, ossia le strutture formate dai neuroni che vengono percorse dalle informazioni provenienti dai cinque sensi, creano quelli che noi sentiamo come corre- lati fisiologici (ossia sensazione fisiche, di rabbia, paura, gioia, tristezza, disgusto, ecc.) senza alcuna comunicazione diretta con la corteccia cerebrale, cioè con la parte cosciente e razionale. Vuol dire che, per esempio, in presenza di un grosso cane che sta abbaiando ferocemente rivolto a noi, le informazioni che arrivano agli occhi e alle orecchie, incanalate lungo le vie formate dai nervi e dai neuroni, arrivano a parti del cervello sottocorticali, tra cui l’amigdala, l’ippocampo, l’ipotalamo, che formano quello che viene chiamato il sistema limbico e che non svolgono funzioni collegate al pensiero. Svolgono invece funzioni legate all’allarme in caso di pericolo, al rilascio di ormoni e neurotrasmettitori che attivi- no una reazione immediata di sopravvivenza e alla memoria.

Quest’ultimo particolare spiega perché non tutti reagiamo esattamente allo stesso modo davanti a uno stimolo: sin dal livello di elaborazione più basilare e incosciente, infatti, la nostra reazione è legata alla memoria. Per questo, per esempio, la reazione immediata di urlo a causa di un forte rumore potrà essere accentuata in una persona che ha vissuto un terremoto.

Il sistema limbico comprende parti evolutivamente antiche rispetto alla corteccia, che funzionano oggi esattamente come funzionavano un milione di anni fa, quando l’uomo vive- va nelle caverne e la velocità di reazione di fronte a pericoli come un animale feroce era fondamentale per la sopravvivenza. Queste parti parlano di- rettamente con i nervi motori per cui causano reazioni moto- rie immediate, come, appunto, quella di urlo subito dopo aver udito un fortissimo rumore. Condividiamo queste parti del cervello con gli altri mammiferi: chi ha un gatto può facilmente osservare come, di fronte, ad uno stimolo che lo spaventi, il gatto, molto velocemente, o attacca tirando fuori gli artigli e sollevando la coda, o fugga per nascondersi restando a distanza utile per osservare

attentatemene, in un secondo momento, cosa è e cosa fa l’ente che l’ha spaventato. Nella prima reazione di attacco o fuga non valuta logicamente con pensiero analitico e critico quale sia l’origine dello spavento e quale reazione si presenti come quella ottimale tra quelle percorribili, perché, se lo facesse, rischierebbe di essere aggredito prima di finire il suo studio.

Le aree del cervello che forma- no il circuito limbico possono “solo” innescare reazioni comportamentali di fuga, attacco (tra cui rientra l’urlo involontario dopo il forte rumore) o, in situazioni estreme, congelamento. Queste reazioni non possono essere controllate: non può essere controllato l’aumento del battito cardiaco, né la sudorazione, né la frequenza respiratoria correlate a un’emozione. Non è quindi possibile, messi di fronte a uno stimolo che la eliciti, non provare un’emozione e le sensazioni a essa connesse. Le emozioni sono, quindi, preziose informazioni a nostra disposizione per aiutarci a decidere del nostro comportamento successivo.

 

Articolo tratto dal nr.  7 di Essere catechisti.

A cura di Daniela Magrì (psicologa-psicoterapeuta).

A partire dal numero di ottobre 2020 di Essere catechisti, Daniela Magrì terrà una rubrica mensile dal titolo “La pedagogia delle emozioni” dovrà parlerà, ogni mese, di un’emozione diversa.

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