Tempo fa ho incontrato lo sguardo di una bambina, Cristina. Avrà avuto sei anni.
C’è un buon motivo se Gesù ci ha trasmesso una lezione di spiritualità, forse tra le più importanti, proprio accostandosi a un bambino. La lezione era sulla semplicità, il libro da studiare era il cuore dei bambini, la semplicità del loro sguardo sul mondo, su se stessi e sugli altri. Anche su Dio.
Cristina mi conosceva, mi vedeva molto vicino alla sua famiglia, e il colletto bianco e nero di Padre T non la intimoriva per nulla. La rendeva invece più curiosa. Forse la incuriosiva la vita di Padre T, quello che faceva, come lo faceva, perchè lo faceva. Vedevo che mi osservava, senza invadenza, perchè non c’era malizia nella sua anima e la sua curiosità era quindi spontanea, fresca, innocente.
A un tratto stava per arrivare il momento di salutarci e io mi sono avvicinato a lei cercando l’ultima breve conversazione. Forse le accennai che sarei ritornato ai miei studi e le raccomandai di essere buona, compito che lei accettava sempre con le migliori intenzioni come fosse lo scopo della sua vita di bambina brava. Quello che invece non siamo mai davvero pronti ad aspettarci da un bambino è una domanda intelligente che merita una risposta adeguata, chiara e completa.
«Tu cosa studi?» mi chiese con sguardo interessato e visibilmente disposto a conoscere qualcosa di me.
Parlare con un bambino conferma in modo esemplare le regole fondamentali del dialogo tra due persone. Il dialogo è un incontro, non è un processo di scambio di informazioni. Non è una questione di rispetto per cui prima parlo io e poi parli tu procedendo insieme in due linee parallele. Il dialogo è procedere insieme nel costruire qualcosa di nuovo che nasce dall’incontro. È un sistema di comunicazione. Nel dialogo ci sono due o più persone con diversi modi di esprimersi, con diverse forme di pensiero, con diversi sistemi di linguaggio, percezione, immaginazione, conoscenza, consapevolezza sulle cose del mondo, della vita, di se stessi e degli altri. Il dialogo ti chiede di entrare nel mondo dell’altro, di entrare nei suoi schemi e nei suoi criteri, nel suo modo di intendere le cose. Ti chiede di entrare nell’anima dell’altro, di contemplarne il cuore e instaurare da lì un rapporto di comunione che si compie nel contenuto dell’incontro.
Parlare a un bambino di spiritualità, di filosofia e di teologia, non avrebbe senso. Per un bambino lo spirito è qualcosa che lo fa ridere, che gli dà gioia… verità profonda ma incompleta nel caso specifico degli studi di un sacerdote, di un uomo di Dio. In questi casi, invece, è sempre necessario andare ai fondamenti del dialogo, che è sempre un atto di comunione.
«Sai… in noviziato ho studiato il cuore mio… poi in filosofia studiamo il cuore dell’uomo… e in teologia si studia il cuore di Dio».
La riposta fu accettabile per lei. Non era importante cosa fossero un noviziato, la filosofia o la teologia. Nel discorso potevano esserle sembrati solo periodi diversi, com le tappe di un processo di formazione. La conoscenza dei bambini è ancora principalmente intuitiva, come quella degli angeli. Diventa razionale con il tempo e con gli schemi di formazione. All’inizio, per loro, gli schemi sono semplicemente poco importanti.
Quello che invece era importante per lei era che sì, si era instaurauto un dialogo, ma come succede spesso nel disporsi a un atto di comunione, lo Spirito prende il sopravvento e la Grazia si mette al lavoro.
C’era qualcosa da chiarire.
«Ma…» ribattè Cristina «…Dio non è un uomo! »
Per impulso della Grazia, con una semplicità che veniva dalla contemplazione della sua anima semplice, che non aveva ancora ricevuto la prima comunione ma si stava già inoltrando a carponi nel mistero di Dio, le risposi semplicemente, poggiandole un dito sul petto come indicandole di trovare conferma nel suo cuore:
« Sì, Dio è un uomo… si chiama Gesù! »
Rimase lì, guardandomi intensamente, contemplando lei stessa la mia anima e incontrando nel mio cuore l’esperienza intima e personale di quell’uomo di cui le parlavo. Entrando lei stessa nella mia anima ne uscì per tornare in se stessa ed esprimere una sola parola che era un verso, un sentimento, una consapevolezza:
«Wow!» disse, come sa dirlo un bambino quando la sua meraviglia mette in relazione il cuore e la mente cercando di esprimersi in una sintesi che è allo stesso tempo una presa di coscienza, una esperienza fatta, una conoscenza acquisita.
Negli occhi di Cristina, nella intonazione di quel “wow”, ho visto l’anima di un bambino che riceve la grazia della conoscenza di Dio. In quel “wow” si condensava tutta la teologia che aveva condotto tanti secoli prima la Chiesa alla proclamazione del dogma di Gesù Cristo vero Dio e vero Uomo. In quel “wow” io stesso coglievo l’azione dello Spirito Santo che fondava le basi per un tabernacolo vivente nel cuore di una bambina.
Gli apostoli, seguendo Gesù, hanno conosciuto un uomo e soltanto dopo hanno capito che era Dio. Noi, oggi, abbiamo un Dio che dobbiamo imparare a conoscere come Uomo.
È sufficiente rivolgersi a un bambino perchè ci parli di lui.
Si chiama Gesù.
Interessante riflessione…. Il punto di vista del bambino è proprio quello che la nostra società tende a non tenere affatto presente… Bravo padre T a dare le risposte…..!