P. Stefano Panizzolo, LC
Sacerdote, @stefanopanizzolo_lc
Viviamo in una società altamente competitiva, che spinge corpi e pensieri alla gara costante. Essa pretende risultati secondo i suoi esigenti standard e questi sarebbero poi la misura del successo personale o di un business. Ogni aspetto della vita può essere valutato e questo ti obbliga alla performance, a essere sempre efficiente e a correre veloce. Ci siamo convinti che il successo sia l’unico “posto abitabile” e siamo pronti a tutto pur di salire sul podio dei vincitori, tra applausi, soldi, riconoscimento e considerazione. In questa corsa folle all’auto-affermazione non c’è spazio per il fallimento, la crisi o l’inciampo.
Ma la vita è fatta di momenti: ci sono momenti nei quali hai la sensazione che “tutto ciò che tocchi diventi oro”, altri in cui sembra che ogni cosa che intraprendi si concluda nel fallimento. I momenti bui sono parte di questo cammino; quante volte abbiamo dovuto far fronte al crollo delle nostre aspettative, nelle quali avevamo investito tempo, denaro energia, entusiasmo.
Successo e insuccesso
Perché è sempre una possibilità il fallimento: in una relazione, in un progetto lavorativo, nel compito educativo. Esistono e coesistono questi momenti di luce e di ombra. Ecco perché ritengo che le categorie “successo” e “fallimento” siano fuorvianti quando riferite interamente alla esistenza di una persona. La vita è un continuo apprendistato: si cade mille volte e altre mille ci si rialza, con la possibilità ogni volta di essere una persona migliore.
Successo e insuccesso sono infine categorie fittizie perché cangianti a seconda della prospettiva con cui le si guarda e mutevoli nel trascorrere del tempo. Basti pensare all’esempio di san Paolo, prima della conversione. Saulo poteva ritenersi un uomo di successo secondo le categorie del tempo: primo trai farisei, riconosciuto e stimato, irremovibile nelle sue convinzioni e irreprensibile nell’osservanza della Legge. Eppure, tutto ciò che una volta poteva considerare un vanto, dopo l’incontro con Cristo, sarà per lui «come spazzatura» (Cfr. Fil 3, 5-9). Chi si considerava al primo posto si collocherà poi nella posizione più bassa: «Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. Io infatti sono l’infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio» (1Cor 15,8-9).
La caduta da cavallo di Paolo (in realtà le Scritture non ci dicono che sia davvero caduto da cavallo ma la scena è entrata nell’immaginario comune per via di un famoso dipinto) può essere emblematica di ogni disfatta, perché rappresenta l’infrangersi al suolo dell’idolo che crediamo di essere; è una caduta dalla fede nel nostro io. Il fallimento è l’incontro con qualcosa che non funziona; ma quello che drammaticamente non gira più si rivela allo stesso tempo come un’opportunità di trasformazione.
Leggi l’articolo completo della rubrica “Esercizi per l’anima” sul nr. 10 di Essere catechisti.