di Daniela Magrì – Psicologa e psicoterapeuta
Tratto dal nr. 3 di Essere catechisti (Dicembre 2019).
Se ripensiamo alle persone che, oltre ai genitori, hanno avuto per noi il ruolo di educatori, insegnanti, catechisti, ecc., di almeno alcuni di essi conserveremo memorie anche in età adulta. Alcune riguarderanno nozioni che ci hanno insegna- to perché volevano esplicita- mente farlo. Ma la maggiori parte dei nostri ricordi su chi ci ha educato riguarderanno modi di fare, idee, associazioni, azioni che ci hanno mo- strato senza volerlo, magari anche loro malgrado, semplicemente per essere loro fatti in un certo modo, per essere quella precisa persona. Anche volendo rimanere in un ambito strettamente didattico, su un preciso argomento, in- segnanti diversi si soffermeranno su aspetti differenti e sceglieranno parole disuguali per descriverli perché così le avranno imparate a loro volta o anche per una scelta precisa sul messaggio da passare, quando questo è veramente introiettato. Uno stesso formatore ci avrà parlato di di- versi argomenti ma sempre mantenendo riconoscibile il suo personale modo di farlo, i concetti e le credenze, impliciti o espliciti, sottostanti ai suoi discorsi.
D’altronde un formatore non è mai solo didattico: nella vita di un gruppo di catechismo ci sono anche dei momenti in cui il confine tra adulti e bambini si ammorbidisce un poco permettendo ad entrambi i ruoli di sondare terreni diversi da quelli soliti legati ai ruoli. Il ruolo del catechista, d’altronde, si presta più facilmente a questa fluidità tra i ruoli, rispetto a quello di altri educatori, e ciò può essere una risorsa molto preziosa se ben utilizzata. In tale scivolamento, che può essere ricercato consapevolmente se necessario, è ancora più facile che si manifesti palesemente la per- sona che è il catechista, che è la stessa che sceglie le parole con cui affrontare l’argomento del giorno e che si manifesta involontariamente in tutto il suo operato.
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