di P.Stefano Panizzolo, L.C.
Tratto dal nr. 2 di Essere catechisti (Novembre 2019).
Uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova: «Ma- estro, qual è il più grande comandamento della legge?». Gli rispose: «Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo è il più grande e il primo dei comandamenti. E il secondo è simile al primo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti» (Mt 22,35-40).
Ci sono persone che definiamo “belle” per il loro esempio di generosità e disponibilità. Esse sembrano incarnare
l’ideale Evangelico del “rinnegare sé stessi” per essere discepoli generosi che si donano senza limiti. Impegnate nel volontariato, nel servizio alla comunità, in famiglia e coi parenti, fanno tutto per il “buon Gesù”; ad ogni richiesta di aiuto l’unica risposta possibile sembra essere quel prodigo “sì”, accompagnato da un sorriso smagliante e da un “ci mancherebbe” di contro al “grazie, posso sempre contare su di te”. Come mai però, chiusa la porta di casa, quelle stesse persone non incontrano le mani piene
di quel “cento per uno” promesso, ma avvertono al contrario un profondo svuotamento e frustrazione? È Dio che non mantiene fede alla parola data? O sono forse loro che hanno deformato quella Parola nell’intimo del proprio cuore? E, se questo è più probabile, dove sta l’inghippo?
Credo – almeno per alcuni di noi – che questa realtà sia la manifestazione di un “difetto di fabbrica” che portiamo senza accorgercene e che consiste nel voler compiere gesti di amore per gli altri preceduti inconsciamente però da un gesto di rifiuto…verso noi stessi. C’è tutto il desiderio, vero e profondo, di amare Dio e il prossimo, accompagnato tuttavia da un silente malcontento verso di sé; viene negato nell’amore quel «come te stesso» che sembra essere un aspetto addizionale, un’appendice trascurabile.
(…)
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