La vita è una tensione verso il futuro. Il nostro centro di gravità non è nel presente, perché l’uomo è aspettativa; è percorso che porta sempre verso l’avvenire, solo che le nostre speranze hanno bisogno spesso di essere ricalcolate e aggiustate, perché il futuro smentisce spesso i nostri sogni e progetti. Come dice Jules Renard, un progetto è solo una bozza del futuro. A volte il futuro ha bisogno di centinaia di bozze.
Anna e Simone erano già vecchi quando appaiono nella Bibbia. Avevano un lungo passato ma non tanto futuro. In tutto ciò erano pieni di speranza. Di Simeone, dice san Luca che «aspettava il conforto di Israele». Di Anna, dice che era una profetessa «molto avanzata in età» e poi, senza eufemismi, che era vedova e aveva ottantaquattro anni. La cosa più importante per Luca era che si trattava di persone di preghiera, assidue al tempio e docili allo Spirito Santo. Dice che a Simeone, in particolare, lo Spirito Santo aveva rivelato che «non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore».
Anna e Simeone erano esperti nelle cose della vita. Gli anziani sono compendi di esperienza e di saggezza, non contano i loro studi o successi. Entrambi però avevano un cuore di bambino, perché vivevano pieni di speranza, una speranza che aveva nome e cognome: «Il Messia del Signore».
Il tempio costituiva per loro l’epicentro di questa speranza. Ogni volta che si trovavano lì, sentivano crescere la loro speranza; una speranza che illuminava i loro giorni e riempiva le loro notti, come dice una canzone di Joseph Brooks. Sapevano di avere ancora pochi giorni di vita e decisero di trascorrerli, finché fosse stato possibile, in quel luogo sacro. I loro cuori si ancorarono al tempio come in un porto sicuro, come un paesaggio marino in cui l’acqua non è che un ristagno lontano dalle correnti e dall’ondosità del mare aperto.
Vale proprio la pena di ricalcolare anche i nostri percorsi di tutti i giorni per non tralasciare di passare, anche solo per un momento, dalla chiesa, dalla cappella. Laddove non è necessario attendere il Messia, perché è Lui che aspetta noi. Certo, le attese di Dio a volte sono molto più lunghe delle nostre. Dio ci attende con una pazienza infinita. Però Lui non dispera mai. Ricalcola la sua speranza, quando vede che invece di avvicinarci, ci allontaniamo da Lui. Non è frustrato, non si agita: cambia percorso e ci attende in un’altra cappella.
Una mattina, Anna e Simeone, ognuno per conto suo, sentirono una mozione speciale; un presentimento che fece accelerare il loro cuore. Come tutti i giorni, ma con passo più svelto e nervoso, andarono al tempio e arrivarono proprio nel momento in cui Giuseppe e Maria entravano con il Bambino, per presentarlo al Signore. Allora, dice il Vangelo: Simone «lo prese tra le braccia e benedisse Dio: “Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza”». Anna, invece, «sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme».
Le nostre speranze forse si sono logorate con il tempo e con il picchiettio di alcune delusioni. Anche così, Dio ci invita a non desistere da esse ma a ricalcolarle. Dio mantiene le sue promesse non quando a noi piacerebbe che succedesse ma quando Lui sa che è meglio per noi. In ogni caso, tutte le nostre speranze dovrebbero essere fondate sulla certezza che Dio mantiene le sue promesse e può sorprenderci con una visita inattesa nel giorno in cui meno ce l’aspettiamo, dietro l’angolo.