Per il nostro primo appuntamento del 2015 mi sembra di ottimo auspicio scrivere del “buon umore”. Non si tratta di una nuova virtù ufficialmente riconosciuta, ma di una indispensabile condizione per vivere tutte le virtù.
I Santi sono persone che hanno saputo affrontare con allegria e buon umore tutte le fatiche della loro quotidianità e ad esempio San Filippo Neri “il giullare di Dio” ancora oggi è per gli educatori un riferimento prezioso.
Beati i bambini che possono contare su genitori ed insegnanti capaci di sorridere. Nel contempo quanta tenerezza suscitano quelli che si trovano tra adulti capaci di molti regali, ma di pochi sorrisi.
L’azione educativa gioiosa è subordinata ad un buon carattere, ad un lavoro svolto con buona coscienza e ad una buona dose di ottimismo che aiuta a considerare persone e fatti dal lato giusto, con il supporto di tanta Grazie di Dio.
Il carattere allegro, il buon umore permettono di affrontare la vita con speranza di affermazione personale e di serenità per chi ci sta vicino, favoriscono un atteggiamento più razionale e una lucidità mentale, necessarie per affrontare le difficoltà e per trovare le soluzioni migliori. Invece l’atteggiamento negativo aumenta il rischio di peggiorare le situazioni e comunque di drammatizzarle a danno di tutti.
E’ indispensabile, con l’esempio, abituare i bambini a sorridere a tutti: ai genitori, ai fratelli, agli amici, agli educatori in genere che si prendono cura di loro, ma soprattutto alla vita nonostante le sue difficoltà, i suoi disagi, i suoi ostacoli che sono molto più superabili con il sorriso.
La parola “scoraggiamento” dovrebbe essere cancellata dal vocabolario e comunque non dovrebbe appartenere al linguaggio del Cristiano.
Il clima familiare è determinante per indirizzare verso una lettura positiva o negativa dei fatti. Quando in famiglia si sentono snocciolare quotidianamente critiche, lamentele, recriminazioni, quando non filtra mai il sole di una risata tra le pareti domestiche di colore grigio, un bambino crescerà diffidente, sospettoso, incredulo, lamentoso e non potrà godere a fondo di momenti chiaramente favorevoli, ritenendoli passeggeri.
Con in braccio il neonato, i genitori attendono con ansia di cogliere il suo primo sorriso come segnale di benessere, di tranquillità di comunicazione positiva in assenza del linguaggio verbale. Quando il lattante sorride si pone in relazione con il mondo circostante e con le persone più care come papà e mamma. E’ bene educare tempestivamente i figli a cogliere il lato gioioso della vita e solo i genitori con una marcia in più ne sanno dare l’esempio.
Oggi si ride sempre meno, anche a scuola come a casa, dominano le espressioni scure, tese degli adulti e gli sguardi un po’ impauriti, tristi, annoiati dei bambini. Ci sono anche isole felici per fortuna, ma non costituiscono la maggioranza perché si ha meno rispetto per l’infanzia, perché non ci si libera mai delle preoccupazioni, perché non ci si accontenta mai, perché si è persa la sensibilità e l’apprezzamento per le piccole cose in grado di cambiare la qualità della vita.
I bambini crescono immersi in questa scontentezza, quando basterebbe loro essere svegliati il mattino con un bel sorriso, con un tono di voce allegro e con un po’ di tempo davanti per fare colazione insieme in famiglia ed essere accolti a scuola con sincero entusiasmo ed una parola di incoraggiamento
Perché si parla spesso ai fanciulli con la faccia scura? L’esigenza, la fermezza non sono incompatibili con il sorriso, anzi esso ne è la premessa: l’ho sperimentato, l’ho imparato personalmente come mamma e come insegnante!
Gli adulti sottovalutano di solito l’efficacia di un sorriso e ignorano su quale ricchezza potrebbero contare, quali risultati potrebbero raggiungere nel formare i propri figli se li trattassero con calma, con fiducia, comunicando stima nei loro confronti. Chiaramente i risultati si ottengono con fatica e con costanza, occorre educare la volontà, accettare le sconfitte, ma guardando avanti e non giudicando mai le persone, ma il loro operato da migliorare.
Il buon umore può addirittura avere proprietà terapeutiche nel senso che favorisce l’azione positiva delle cure. Prendere per mano un bambino, guardarlo negli occhi sorridendo, saperlo ascoltare anche per quello che non riesce a dire: questo si chiama fare il tifo per lui e trasmettergli messaggi positivi, altamente nutrienti per il suo spirito.
Sappiamo che l’interesse per qualche cosa è il motore per l’apprendimento e dobbiamo tenere in conto che non siamo noi ad insegnare, ma sono i bambini ad apprendere, sono loro i protagonisti e noi gli strumenti. Quanta noia si legge tante volte negli occhi degli “strumenti”, quanta fatica, quanta irritazione, quanta mancanza di fantasia e di slancio. E i bambini dovrebbero essere felici di andare a scuola e di imparare! Dalla luce che brilla invece nei loro occhi si può capire l’interesse che noi siamo stati capaci di suscitare e la misura dell’apprendimento di quanto abbiamo fatto loro conoscere. Dallo sguardo, dalla voglia di sorridere, si intende l’atteggiamento verso il sapere e la vita.
I bambini vivaci non sono “monelli”, ma vitali. Hanno voglia di correre, sono tonici, mangiano volentieri, sono curiosi, allegri, entusiasti e… senz’altro impegnativi. Sono coloro che sono capaci di incamerare e rielaborare contenuti da un punto di vista scolastico, con grande interesse per tutto ciò che li circonda, con la voglia di porre domande a bizzeffe.
Qualche volta chi è taciturno, fermo, si distrae più facilmente e non pone attenzione a quanto viene detto, al contrario di chi non sta fermo, ma sa ripetere. in una situazione tranquilla, parola per parola quello che l’adulto ha proposto.
I bambini sono tutti diversi tra loro e non appartengono mai completamente ad una categoria o all’altra, perché punti di debolezza e punti forti convivono in ciascuno, ma sicuramente chi si occupa di loro non può fermarsi alle apparenze, senza capire le ragioni del loro agire. La persona adulta deve essere ancora un po’ bambina dentro, nel senso che deve essere capace di stupirsi, di divertirsi con poco, nel senso della semplicità d’animo, per cogliere le dimensioni del bambino.
E’ motivo di riflessione quella frase del Piccolo Principe che recita: ”Tutti gli adulti sono stati prima bambini, ma pochi se lo ricordano”. Nella gioia e con la gioia è più facile apprendere.
Noi adulti dobbiamo amare i bambini, senza sentimentalismi, sapendo trasmettere il piacere che proviamo a stare con loro. Dobbiamo capirli, cercando di fare nostri i loro punti di vista. Spesso la scuola è il luogo dei timori, dell’ansia di saper rispondere alle aspettative di insegnanti , papà, mamma e nonni, è il luogo della paura di deludere.
Fermarsi, ripensare, avere il coraggio di ridimensionare atteggiamenti, modalità d’approccio, priorità, luoghi comuni, sono atti di coraggio che ogni persona preposta ad educare, potrebbe augurarsi all’inizio del nuovo anno per aiutare i bambini ad essere sereni ed impegnati nel loro “lavoro” a scuola, dove si apprende il sapere e l’arte del vivere e del convivere.
Anche le risate di cuore possono far parte del programma scolastico: aiutano a guardare lontano, al di là delle apparenze e delle contingenze. Evidenziare l’aspetto umoristico delle cose, delle situazioni, degli avvenimenti genera in chi ci sta vicino un senso di benessere e di allegria contagiosa, di ottimismo con la sensazione che “tutto” (ciò che è bene) è possibile…basta cominciare a crederci, basta volerlo anche con sforzo.
Un breve accenno meritano anche i ragazzi che si avvicinano all’età dell’adolescenza, quando diventa quasi obbligatorio vivere con il “broncio” in casa, mentre le migliori energie vengono riservate all’esterno della famiglia, agli amici. E’ come se debba essere interrotto ogni rapporto di simpatia, ogni comunicazione con i membri della famiglia. E’ un mezzo per attirare l’attenzione, per drammatizzare ogni avvenimento, per dimostrarsi vittima delle circostanze.
I genitori hanno il compito di capire, di non esasperare, di evitare sarcasmi e canzonature e di saper guardare opportunamente da un’altra parte in certe circostanze, in attesa di tempi migliori. Se l’ambiente familiare è normalmente sereno e positivo, anche i figli potranno superare in tempi accettabili un periodo faticoso di crescita, per tornare al sorriso e alla voglia di cantare.
Mi piacerebbe che di ogni adulto si potesse dire quello che è stato scritto di JEAN PIAGET (filosofo, pedagogista, psicologo, biologo vissuto nel secolo scorso): “A settant’anni i suoi occhi azzurri brillano di giovinezza, buon umore, entusiasmo”!
Non si pagano le tasse sul buon umore: evitiamo di imporci economie almeno in merito a questa ricchezza!
Vi aspetto domenica 1 febbraio a Verona per il Corso avanzato “Il codice NET” dove terrò due conferenze. Spero vedervi numerosi!