Non si vive per mangiare, ma mangiare è necessario per tutta la vita, dal primo all’ultimo giorno!
All’inizio il latte materno è il dono che ogni mamma produce per il proprio bambino: è unico, è su misura e costituisce un legame insostituibile con il proprio figlio. Senza filtri intermedi, è portatore di nutrimento, di gioia, di gratificazione nella relazione con la madre, ma ne trasmette anche le ansie, le incertezze, i nervosismi ed ogni emozione.
L’allattamento con latte materno o artificiale, è il primo passo che determina il successivo rapporto con il cibo. Anche lo svezzamento non sempre viene sperimentato, vissuto, con quell’entusiasmo che dovrebbe proiettare il bambino verso il piacere dell’alimentarsi.
I bambini nascono con i cinque sensi a disposizione, pronti per essere utilizzati a loro beneficio ed è così che già a sei mesi circa il gusto, l’olfatto, la vista sono pronti ad accogliere cibo colorato, profumato, di gusto gradevole e ben presentato.
Purtroppo le preoccupazioni igienico/nutrizionali spesso prevalgono sugli altri fattori e i primi alimenti possono solo far rimpiangere il latte materno e costituiscono un primo approccio poco gratificante nei confronti dell’arte culinaria. Approccio che si rifletterà sul gradimento della più varia alimentazione futura.
Il bambino ha bisogno di tempo per accettare e sperimentare il cibo: prima lo scopre con i sensi, poi lo “decodifica” sul piatto che gli proponiamo, come afferma una nutrizionista. Il suo ruolo di ricercatore, di inventore lo esprime anche nel mondo alimentare che lo accompagna nella crescita.
Nella prima infanzia egli può godere di un approccio ludico con le varie sostanze, con la manipolazione della pasta di sale, con la farina, lo zucchero, l’acqua, le patate da schiacciare, con gli ortaggi e la frutta coloratissimi da toccare, osservare, spremere!
Non c’è gioco migliore del preparare una torta e dei biscotti con la mamma o con la maestra.
Molti bambini hanno un atteggiamento diffidente verso sapori, consistenze, cibi diversi che per la prima volta vengono loro inseriti nei pasti quotidiani: hanno ragione perché non conoscono e necessitano di un tempo, di una confidenza progressiva, accompagnata dalla pazienza e dalla serenità dell’adulto che ha il compito di nutrirli.
Un pediatra, specializzato in nutrizione infantile, raccomandava di proporre almeno 14 volte lo stesso alimento, cucinato e presentato in modo diverso, prima di accettarne il rifiuto definitivo!
Al di là del numero cardinale preso in considerazione, è vero che gli adulti devono saper usare con i bambini tutta la pazienza, il buon umore e la fantasia necessari ad introdurli nell’universo del cibo ed alle difficoltà che ne conseguono. Difficoltà che dovranno trasformarsi in piacere, perché il gusto ed il buon gusto si formano.
Questo vale anche per i “ragazzi” in età della scuola dell’obbligo, della scuola Primaria dove vengono spese cifre ingenti per organizzare centri di cottura, per acquistare materie prime di qualità, con prodotti biologici e con tutti gli adempimenti previsti dalla legge. Però successivamente il cibo arriva sulla tavola degli alunni con preparazioni e cotture poco allettanti, serviti in modo impersonale e consumati solitamente senza la presenza autorevole, ma incoraggiante e sorridente di adulti che riconoscano la funzione socialmente ed affettivamente importante del mangiare in modo vario e condiviso con altre persone.
Anche nella vita di casa, la prima colazione è frettolosa e, con i membri della famiglia in fibrillazione per l’urgenza degli orari di uscita, non può diventare un momento ambito dai figli che dovrebbero affacciarsi al nuovo giorno traendo fiducia, forza, ottimismo dai “riti mattutini” di casa con mamma e papà.
I bambini sanno benissimo che creare problemi a tavola significa tenere alta l’attenzione dei genitori che sono “disposti a tutto” purchè mangino e garantiscano una crescita ponderale rassicurante. Parola d’ordine in famiglia deve essere invece “sdrammatizzare!” E’ allora indispensabile rispettare alcune regolare di base per organizzare in modo positivo ed ottenere dei risultati di educazione alimentare, che in misura prevalente spetta ai genitori:
I bambini hanno il diritto di essere educati a:
– mangiare cinque volte al giorno (prima colazione, spuntino, pranzo, merenda e cena)
– evitare il consumo continuo, fuori pasto, di prodotti salati e dolci, costosi e dannosi nei tempi lunghi, per la salute
– condividere con tutti i membri della famiglia, il menu preparato e servito a tavola, senza una serie di alternative che generano incertezze e capricci.
– essere coinvolti, a seconda dell’età, in modo efficace e gratificante negli acquisti alimentari, tenendo conto anche in positivo delle preferenze, dei loro gusti (o disgusti), come membri attivi della famiglia che successivamente non potranno abbandonarsi a capricci e a rifiuti.
– contribuire a preparare la tavola la sera e nei giorni di festa, in modo semplice, ma ordinato e di buon gusto, così che possano essere serviti dei cibi ben cucinati, presentati e offerti a ciascuno. Si tratta di gesti di affetto, di attenzione da vivere nell’intimità della propria famiglia, indipendentemente dalla semplicità e sobrietà di quanto viene preparato.
– consumare i pasti senza la compagnia della televisione, che è una realtà estranea che nuoce alla comunicazione in famiglia, presenta immagini e fatti inadatti a tutti e annulla la possibilità di avere tutte le attenzioni necessarie nei confronti di chi sta crescendo ed ha bisogno di imparare
Ormai la cena costituisce l’unico vero pasto da consumare tutti insieme in famiglia e deve essere garantito nella sua regolarità di orario, di tempo a disposizione e di buone abitudini.
“Abolire ogni rimprovero a tavola” diceva Giovanni Bollea, un pedagogista che amava veramente i bambini. Voleva invitare alla misura sapendo che si tratta di un suggerimento difficilissimo per i genitori che intendono insegnare la buona educazione. Sono invece da privilegiare l’esempio, la coerenza, l’invito paziente che poi può essere ripreso in un momento successivo più adatto. A tavola dovrebbero prevalere, le consuetudini, la tradizione che conferiscono alla famiglia un’identità unica. A tavola bisogna dare spazio agli aspetti positivi, ai racconti positivi, nel limite del possibile, a quelli che infondono fiducia, speranza e desiderio di miglioramento personale. Ci si siede tutti insieme, si spengono i cellulari, ci si alza tutti insieme dopo aver sottolineato la bravura e la generosità di chi ha preparato la cena o il pranzo.
Un ultimo pensiero: per non scoraggiare la partecipazione anche dei figli/alunni, possiamo parlare di tanti argomenti, ma evitiamo gli interrogatori sui voti scolastici e su tutte le ingiustizie subite durante la faticosa giornata lavorativa. Altri momenti della vita familiare devono essere dedicati a tutto questo! I Romani dicevamo “Mens sana in corpore sano”. E ‘ un invito anche attuale che deve essere realizzato con una alimentazione sana, varia, equilibrata, in un clima familiare sereno che per i bambini e i ragazzi è la miglior garanzia per la salute fisica, psicologica e affettiva.