A cura di don Andrea Lonardo
Direttore Ufficio pastorale universitaria, già Direttore Ufficio catechistico Diocesi di Roma
L’inflazione della dimensione metodologica è stato uno dei grandi limiti della catechesi degli ultimi decenni. A molti è sembrato che il vero problema fosse quello di un adeguamento dei metodi, con la conseguenza di trascurare sia le esperienze che i contenuti della catechesi stessa.
Nelle parrocchie dove si è conservato il materiale utilizzato dalle diverse generazioni dei catechisti è facile rendersi conto di come siano stati utilizzati strumenti via via mutevoli, dalle “filmine”, alle diapositive”, ai DVD, ai “video”, al linguaggio multimediale. Similmente dove sono state conservate le “fotocopie” che hanno contraddistinto il cammino della catechesi, si vede come si sia passati per “attività” e “metodi” diversi, dal collage al cartellone, dal gioco al puzzle, dal cruciverba alle parole da completare, dai disegni da colorare a quelli con punti da unire e così via, da dinamiche di gruppo a bans e canti con gesti annessi. Tutte queste attività – che sembrano caratterizzare anche i recenti sussidi delle diverse case editrici – rendono evidente che questi metodi sono mutevoli e ciò che sembra, in principio, assolutamente nuovo, invecchia nel giro di un brevissimo volgere di anni.
È apparso così evidente che non si può ridurre il cammino formativo ad “attività” di vario tipo. Non che le diverse “attività” siano da scartare, ma lo scorrere del tempo insegna che si può accogliere ogni nuova metodologia e strumento, purché non si ritenga che essi, nella loro transitorietà, siano in grado di garantire la qualità dei percorsi. Anzi, emerge che determinati giochi o forme di pellegrinaggio o canzoni della tradizione reggono meglio la sfida del tempo rispetto a forme di intrattenimento troppo improntate alla moda passeggera del tempo: ad esempio, è evidente per chi lavora a Roma con i ragazzi che una vera passeggiata in alta montagna o una partita di pallone, non caricate di chissà quale valenza simbolica ma vissute per ciò che sono in realtà, sono molto più formative di attività troppo complesse e cerebralmente rivestite di chissà quale significato.
Emerge sempre più con forza che non sono determinati strumenti o metodi ad essere le chiavi per un vero rinnovamento della catechesi. Anzi, i metodi divengono divisivi se si pretende che, in una Chiesa locale, tutti siano tenuti ad uniformare le diverse attività. Le modalità della catechesi non possono che restare diverse, mentre è a un diverso livello che si deve invece coltivare l’unità della proposta catechetica delle Chiese diocesane.
Forse il più grande problema generato dalla focalizzazione sui metodi – e conseguentemente sui sussidi – è stato quello di concentrare l’attenzione degli itinerari di catechesi su di una miriade di attività con l’idea che per attirare i ragazzi e mantenere desta l’attenzione la questione primaria fosse quella di “far fare qualcosa”.
Invece la catechesi ha bisogno di esperienze vive e vere, non costruite ad arte.
Gli anni trascorsi hanno insegnato ai catechisti che è necessario proporre una catechesi che renda possibile una viva esperienza di Dio e non si riduca ad un attivismo superficiale ed effimero.
Solo in un’esperienza viva di Chiesa, infatti, è possibile sperimentare la presenza di Dio. Non basta qualche dinamica di gruppo vissuta con un ristretto numero di persone: solo l’incontro con la Chiesa nella sua pienezza, con la Chiesa guidata dallo Spirito vivo di Dio, permette di comprendere come la provvidenza divina operi nella storia.
È evidente a tutti, ad esempio, il modo con il quale il Signore ha guidato la Chiesa prima con il Concilio Vaticano II, poi con tutti i papi che, con carismi diversissimi, sono stati via via eletti. Essere accompagnati dai ponteficinon è stato qualcosa di elaborato in “laboratorio”, bensì un’esperienza viva, vissuta nella storia.
Diversa da un “laboratorio”, perché non elaborata ad hoc, ma viva ogni domenica, è poi la celebrazione eucaristica festiva: solo essa permette una vera “esperienza” di Dio, poiché nella liturgia, come insegna la Sacrosanctum Concilium, Cristo che la presiede parla al suo popolo, lo raduna o lo nutre con il suo corpo.
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