A cura di don Andrea Lonardo
Direttore Ufficio pastorale universitaria, già Direttore Ufficio catechistico Diocesi di Roma
La prima grande e straordinaria novità tornata a brillare nella catechesi è che essa non è mai solo presentazione della fede, ma è sempre e innanzitutto annunzio. Annunzio che la fede è grande, è bella, è appassionante, è assolutamente nuova, è capace di toccare il cuore e la mente, è capace di trasformare il mondo, è capace di condurre a Dio e alla vita eterna, è vera e credibile, è buona.
Papa Francesco sintetizza in EG 165 questa novità quando afferma che «alcune caratteristiche dell’annuncio […] oggi sono necessarie in ogni luogo: che esprima l’amore salvifico di Dio previo all’obbligazione morale e religiosa, che non imponga la verità e che faccia appello alla libertà, che possieda qualche nota di gioia, stimolo, vitalità, ed un’armoniosa completezza che non riduca la predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche. Questo esige dall’evangelizzatore alcune disposizioni che aiutano ad accogliere meglio l’annuncio: vicinanza, apertura al dialogo, pazienza, accoglienza cordiale che non condanna».
Tale sottolineatura del carattere kerygmatico di ogni vera catechesi è maturata progressivamente, anche se con terminologie diverse, dall’Evangelii nuntiandi di Paolo VI alle prime udienze del breve pontificato di Giovanni Paolo I, dalla grande riflessione di Giovanni Paolo II sulla “nuova evangelizzazione” alla ripetuta affermazione di Benedetto XVI che la fede deve essere proposta e non presupposta, fino all’Evangelii gaudium di papa Francesco, testo programmatico del suo pontificato.
In questo modo è saltata quella sequenza che caratterizzava l’analisi catechetica dei decenni passati: prima l’annunzio, poi la catechesi, poi la predicazione. Invece, nella realtà della vita delle persone, sempre più interessante delle idee astratte, tutto questo si presenta insieme. Chi partecipa alla catechesi ha in realtà desiderio e bisogno di scoprire perché valga la pena credere: spesso non partecipa alla catechesi perché già crede. Questa riscoperta è in grado già da sola di rinnovare profondamente la catechesi.
In effetti – è questo che è decisivo – l’annunzio è costitutivo della fede cristiana, perché essa non nasce dalla speculazione umana, bensì è un dono che ci raggiunge tramite la rivelazione. A Dio è piaciuto farsi conoscere (cfr. Dei Verbum 2) e la catechesi desidera porsi a servizio del godimento di Dio. Dio desidera che il suo amore sia noto agli uomini e che essi possano vivere in comunione con Lui: egli ci ha creati per questo e senza questa comunione con Lui non c’è felicità vera e sincera possibile.
La riscoperta della centralità dell’annunzio e della gioia da cui esso nasce e che esso provoca – beatitudine prima divina e poi umana – è evidente nella prospettiva assunta dal Concilio Vaticano II. La prospettiva dei Padri conciliari non fu semplicemente quella di riaffermare ciò che era giusto, bensì molto più profondamente di comprendere come la fede di sempre fosse in grado di toccare il cuore dell’uomo contemporaneo.
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