Manuela Riondato
Teologa e astronoma
Il 24 novembre del 1859 Charles Darwin vide venire alla luce l’opera per la quale aveva lavorato per circa vent’anni, frutto di un lungo e accurato lavoro di osservazione, catalogazione, sperimentazione. Un anno prima le sue teorie erano state presentate alla Linnean Society, insieme a un articolo scritto da Alfred Russel Wallace, il quale era giunto, in modo del tutto indipendente, a risultati molto simili ai suoi. Fu così che nel corso di un solo giorno venne esaurita la prima edizione, di 1250 copie, del suo Sull’origine delle specie per selezione naturale, ovvero la conservazione delle razze più favorite nella lotta per l’esistenza. Fu solo la sesta edizione, pubblicata nel 1872, che il naturalista inglese considerò definitiva. La teoria che vi riportava era rivoluzionaria, non tanto per l’uso del termine “evoluzione”, che già veniva utilizzato alla fine del Settecento per indicare una trasformazione delle specie animali, quanto per i meccanismi che venivano individuati alla base dei processi evolutivi, ampiamente supportati da un’enorme quantità di prove empiriche, frutto di una vita di ricerca. L’idea di Darwin è che la formazione di nuove specie sia dovuta all’interazione di due processi distinti: la comparsa imprevedibile e costante di piccole variazioni individuali e la selezione esercitata dall’ambiente. Due meccanismi tra loro indipendenti, per i quali «piccole differenze che compaiono nei discendenti dai medesimi genitori, o che si possano presumere tali perché appartengono alla stessa specie e convivono in una stessa e circoscritta località» (C. Darwin, L’origine delle specie, Boringhieri, Torino 2011, 121), forniscono il materiale su cui la selezione può agire. Non tutte le variazioni hanno la stessa importanza, ma ognuna può risultare, a seconda delle circostanze, più o meno vantaggiosa: se l’organismo che presenta una determinata variazione è avvantaggiato dall’ambiente in cui si trova è più probabile che tale caratteristica venga trasmessa alla prole.
Per comprendere la rivoluzione dei risultati di Darwin dobbiamo sapere che la concezione tradizionale del suo tempo era quella della fissità o immutabilità delle specie: tutto il creato veniva concepito come la realizzazione, da parte della mente divina, di un disegno prestabilito e immutato nel tempo. Ogni essere vivente, secondo questa concezione che affondava le sue radici nel testo genesiaco preso alla lettera, era stato creato da Dio così com’era, e così sarebbe sempre rimasto. Se ci pensiamo bene il processo evolutivo, così come concepito da Darwin, aveva bisogno di moltissimo tempo per dare i suoi risultati, talmente tanto tempo da dover spostare indietro addirittura l’età dell’universo, che veniva fatta coincidere con il computo degli anni dichiarati dal testo biblico. Come se non bastasse, sempre secondo questa teoria, l’uomo stesso non sarebbe stato creato da Dio così com’è, ma discenderebbe persino da antichi primati. Qualcosa di assolutamente inaudito!
Certamente all’epoca l’impatto che ebbe il lavoro di Darwin sulla società del suo tempo, cristiana anglicana, non fu di poco conto. Egli stesso, cristiano convinto con studi di teologia alle spalle, un po’ alla volta cominciò a dubitare della verità letterale dell’Antico Testamento: le sue osservazioni così accuratamente raccolte e la scientificità con cui aveva imparato a guardare la natura indebolirono sempre di più la fede in un Dio benevolo da cui derivasse la grandezza e l’immensità dell’universo, così come l’uomo, con la sua capacità di guardare al passato e al futuro. Tutto era dunque il frutto del mero caso o di una cieca necessità? Darwin non arrivò mai a dichiararsi ateo, piuttosto preferì coltivare, per tutto il resto della sua vita, la domanda sull’esistenza di Dio.
Teoria dell’evoluzione e fede cristiana: i passi fatti dal Magistero della Chiesa cattolica
Oggi l’evoluzione delle specie viventi è un fatto riconosciuto in modo pressoché unanime dalla comunità scientifica. Gli studi si sono arricchiti di nuovi ambiti di ricerca, impensabili all’epoca di Darwin: la scoperta del DNA e dei suoi meccanismi, il modo in cui avviene la morfogenesi (la fase dello sviluppo embrionale), l’influenza dell’ambiente sullo sviluppo delle specie viventi, ecc. raccontano una storia lunga oltre tre miliardi di anni, di cui gli ultimi 540 milioni sono stati incredibilmente fecondi e imprevedibili sul piano dello sviluppo della vita, in tutte le sue forme. La ricerca scientifica nell’ambito dell’evoluzione biologica è stata (ed è) talmente ricca e accurata da far affermare all’allora papa Giovanni Paolo II, nel 1996, che «Oggi […] nuove conoscenze conducono a non considerare più la teoria dell’evoluzione una mera ipotesi. È degno di nota il fatto che questa teoria si sia progressivamente imposta all’attenzione dei ricercatori, a seguito di una serie di scoperte fatte nelle diverse discipline del sapere. La convergenza, non ricercata né provocata, dei risultati dei lavori condotti indipendentemente gli uni dagli altri, costituisce di per sé un argomento significativo a favore di questa teoria» (Giovanni Paolo II, Messaggio alla plenaria della Pontificia Accademia delle Scienze, 22 ottobre 1996). Ma i progressi non sono stati fatti solo in ambito scientifico: anche gli studi biblici hanno approfondito la propria capacità di comprensione della Scrittura. La Dei verbum, uno dei quattro documenti più importanti del Concilio Vaticano II, al n. 12 afferma che «Per ricavare l’intenzione degli agiografi [gli autori ispirati dei libri della Bibbia, ndr], si deve tener conto fra l’altro anche dei generi letterari. La verità infatti viene diversamente proposta ed espressa in testi in vario modo storici, o profetici, o poetici, o anche in altri generi di espressione. È necessario adunque che l’interprete ricerchi il senso che l’agiografo in determinate circostanze, secondo la condizione del suo tempo e della sua cultura, per mezzo dei generi letterari allora in uso, intendeva esprimere ed ha di fatto espresso». Nel nostro caso, i racconti di creazione della Genesi sono detti eziologici, cioè racconti mitici che cercano di spiegare l’origine del mondo: essi non vanno presi alla lettera, ma intendono farci comprendere qualcosa di Dio e della sua relazione con la creazione. Il testo biblico viene perciò letto e interpretato facendo uso di criteri che per la letteratura possiamo definire scientifici, senza mai dimenticare l’aiuto del Magistero della Chiesa e, ancora più importante, l’assistenza dello Spirito Santo.